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ARTICOLO  TRATTO DA "IL GIORNO" DEL 15/10/2010 - «La cassa sta finendo, 300 tute blu rischiano grosso»

«La cassa sta finendo, 300 tute blu rischiano grosso»


di FABRIZIO LUCIDI
— LODI —
«TRECENTO metalmeccanici, sui tremila totali, di qui a poco rischiano di restare senza cassa integrazione». Luca Magnani, delegato provinciale del sindacato Fiom, mette il dito sulle piaghe della crisi economica. «Tante aziende hanno già completato il percorso delle 52 settimane di cassa integrazione ordinaria, poi straordinaria, oggi stanno usando la cassa in deroga. Ma poi cosa succederà?».
Le situazione da risolvere al più presto?
«La vertenza aperta alla Nilfisk: l’anno di cassa straordinaria dovuta alla riorganizzazione sta per scadere ma l’azienda ha già aperto procedura di mobilità».
Altre situazioni potenzialmente ad alto rischio?
«Alla “Vebe” di Borgo San Giovanni, che si occupa di forniture per le industrie di auto ed elettrodomestici, dovremmo essere coperti con la cassa in deroga ma solo fino al maggio 2011. Alla “Giannoni” di Castiraga Vidardo la cassa straordinaria dovrebbe scadere a febbraio, invece siamo in deroga alle Officine Curioni di Galgagnano. Cassa straordinaria alla Sama di San Colombano, in deroga alla Metallurgica Graffignana, ai lavoratori della Polenghi Mario di Codogno - in vista della cessazione attività - è stato riconosciuto un anno di cassa».
Soffiano ancora forte i venti di crisi sul Lodigiano?
«Un po’ in tutte le aziende, salvo casi eccezionali. Continuiamo a discutere tutti i giorni di casse straordinarie e in deroga o di piani di riorganizzazione che ci verranno proposti».
Ce ne sono altri all’orizzonte?
«Alla Marcegaglia di Graffignana oggi sono previsti 2 giorni di cassa alla settimana fino a fine anno, ma il tetto di 52 settimane sta per essere toccato. E la situazione resta critica: lo stabilimento lavora 30 volte meno della massima capacità produttiva. Il problema è comune a tutte le ditte metalmeccaniche legate all’edilizia: sono scattati i contratti di solidarietà alla “Newco” Alusteel (vernici) di Somaglia dove siamo al 50% della capacità produttiva o della “Besozzi” di Mulazzano che produce motori per gru. E tutti i fornitori di pezzi per le auto soffrono: basti ricordare che la “Mta” di Codogno non ha confermato 30 dipendenti con contratti a tempo determinato. Dire che la situazione è preoccupante è dire poco. Urgono politiche di mantenimento dei livelli occupazionali e investimenti tesi a sostenere le nostre imprese. L’unica ricetta che ci viene propinata è quella delle deroghe al contratto sullo stile della Fiat: come a dire che è possibile competere sul mercato solo se si abbassano i diritti dei lavoratori. Invece, e non è un caso, negli altri Paesi le multinazionali reggono senza abbassare i diritti dei dipendenti».
Tanti vi accusano di non firmare mai un accordo.
«Vogliamo discutere di turni più pesanti, meno pause, più produttività? Siamo qua. E non è vero che non firmiamo accordi. Li firmiamo se non abbassano i diritti e se vengono sottoposti al referendum dei lavoratori. I critici guardino al contratto che abbiamo siglato per l’Areva di Guardamiglio: 83 lavoratori a rischio, abbiamo chiuso la trattativa con 40 esuberi volontari incentivati con 40mila euro da operai che probabilmente avrebbero comunque perso il posto per l’esternalizzazione di tre reparti».
Come si sono ricollocati i lavoratori usciti dall’Areva?
«Non si sono ricollocati».
Vi state preparando al corteo Fiom di sabato a Roma?
«La risposta nel Lodigiano va oltre le aspettative: 220 persone verranno con noi in pullman, treno e auto. E le richieste sono arrivate non solo da iscritti ma anche da studenti, associazioni e cittadini».
Teme un effetto-Marchionne nel Lodigiano?
«C’è già. Imprenditori grandi e piccoli stanno alla finestra. Le deroghe ai contratti sono state già firmate, gli altri sindacati assicurano che i salari non verranno abbassati ma non è così: si taglieranno maggiorazioni di indennità di turno e altre voci del salario accessorio».
Tagli giusti?
«Il costo del lavoro vale il 6% del fatturato della Fiat. Per quanto Marchionne possa andare in Serbia e pagare gli operai 300 euro al mese, parliamo di risparmi dello zero virgola qualcosa sul costo del lavoro. La differenza la fa la politica dei singoli Paesi: la Serbia offre incentivi e regala lo stabilimento, l’Italia no. Anche la Francia ha dato soldi alla sua industria automobilistica ma a patto che non lasciasse il Paese e investisse in nuova tecnologia. I dipendenti della Volswagen in Germania prendono 2.500 euro netti al mese e lavorano 35 ore a settimnana ma l’azienda va bene. Superare la crisi non deve voler dire intaccare i diritti. L’alternativa non può essere: “O si fa come dico io o chiudo tutto!”. Vale per Marchionne come per i tanti imprenditori lodigiani che stanno alla finestra...».

 

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